martedì 13 gennaio 2009

NARCISO


Narciso: figlio del dio fluviale Cefisio e della ninfa Liriope. Il suo mito è narrato secondo differenti versioni.
Sicuramente la più famosa è quella narrata da Ovidio nelle Metamorfosi: il poeta dice di lui che è un giovane d' incomparabile bellezza, desiderato da giovani e da fanciulle. Ma lui, incurante di tutti, indifferente alla passione amorosa, si dedica esclusivamente alla caccia trascorrendo le sue giornate in totale solitudine.
Di lui si innamora Eco, una ninfa condannata da Giunone a ripetere le ultime parole udite.
Narciso respinge il suo Amore: rifugiatasi nel bosco, Eco si consuma per amore fino a che di lei resta solo la voce.
Quando un'altra ninfa si innamora del giovane e viene immancabilmente respinta come tutti gli altri pretendenti, questa chiede al Cielo di punire Narciso: il suo desiderio viene esaudito da Nemesi, la dea della Vendetta; un giorno il giovane, stanco per aver cacciato a lungo, si ferma presso una sorgente e, mentre si rinfresca, scopre la propria immagine riflessa nell'acqua: se ne innamora perdutamente.
Rendendosi conto che mai potrà dare il suo amore a quell'immagine, si lascia morire portando così a compimento la vendetta richiesta.
Il suo corpo scompare ed al suo posto nasce un fiore che avrà il suo nome.

Altri narrano che un giorno, chinatosi troppo vicino alla sua immagine riflessa in uno stagno, quasi a baciarla, vi cadde dentro ed affogò: gli Dei, per compassione, lo mutarono nel fiore che porta il suo nome.
Secondo una terza versione, gli Dei lo indussero al suicidio e il fiore nacque dal suo sangue.
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Spesso Narciso viene raffigurato,pittoricamente, tutto solo mentre si specchia in una fonte ; vicino a lui sempre il fiore che reca il suo nome.
Nella sua opera ad esempio, il Caravaggio lo raffigura da solo; secondo me, il sommo artista,sa rendere perfettamente il momento dell'innamoramento : infatti il giovane sembra estasiato di fronte alla sua immagine e pare non possa proprio separarse più: lui e l'immagine formano un tutt'uno, quasi in un abbraccio... tutt'intorno è oscurità, quasi a voler significare che per Narciso oramai non esiste altro che la sua effigie.
Altre volte invece, vicino c'è anche Eco: nel dipinto di Nicolas Poussin, la ninfa è quasi evanescente: questo molto probabilmente per far capire che la poverina si struggeva a d'amore fino al punto di restare solamente "voce".
Nell'opera di Poussin c'è da notare la fiaccola che il puttino ha in mano: questa vuol simboleggiare la morte di Narciso: infatti con le fiaccole si illuminavano i cortei funerari e poi si usavano per accendere la pira funebre.
Infine, i fiori accanto al giovane ormai esanime, alludono alla metamorfosi di Narciso.
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Dunque il fiore diventa simbolo di egoismo e di amore per se stessi.
Il significato funerario gli deriva anche dal fatto che lo si credeva un fiore infernale: infatti, Omero, nell'Inno a Demetra ne parla e dice che il fiore fu da Giove creato dalla terra per "compiacere il dio che molti uomini accoglie" cioè Plutone o Ade, dio degli Inferi.
Inoltre in greco, narkissos ha la radice del verbo narkào che significa "intorpidisco, irrigidisco" e quindi dà il senso della morte.



Nell'iconografia cristiana nelle rappresentazioni dell'Annunciazione o del Paradiso, il fiore assume il significato del Divino Amore e della vita eterna che trionfano sulla morte, sull'egoismo e sul peccato; un esempio del Divino Amore ce lo fornisce anche il "Noli me tangere" del Beato Angelico.


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Ancora il fiore lo si trova nelle iconografie di Cesare Ripa quando per rappresentare la Stupidità, ci mostra una donna che accarezza una capra, tenendo dei narcisi in mano e ha una corona di questi stessi fiori in testa: il Ripa dice, proprio sempre considerando la radice greca narke:"il narciso è fiore
che aggrava e balordisce la testa".
Lo stesso Ripa raffigura L'Amore di se stesso con una donna che sul capo ha una corona di vescicaria, in mano un narciso e ai piedi un pavone.

martedì 6 gennaio 2009

LA CAVALCATA DEI MAGI

"Amico mio singularissimo..." così si rivolgeva a Cosimo de' Medici il pittore Benozzo di Lese, meglio conosciuto come Benozzo Gozzoli, secondo l'appellativo che gli fu dato dal Vasari nella sua opera "Vite".
Sempre il Vasari racconta che fu discepolo dell'Angelico Fra' Giovanni ( Beato Angelico) .
Lavorò anche a Firenze e, anche se rivalutato soltanto anni dopo, fu tra gli artefici dello sviluppo dell'arte e della storia fiorentina.
Essendo in amicizia con la famiglia Medici, fu su incarico di Cosimo che nel 1459 iniziò la decorazione della Cappella del Palazzo di Via Larga, oggi Palazzo Medici Riccardi, con la Cavalcata ( o Corteo o Viaggio ) dei Magi.
L'opera vuole essere la celebrazione della famiglia Medici, in quanto il soggetto religioso viene usato come pretesto per rappresentare il corteo che arrivò a Firenze da Ferrara in occasione del Concilio ( 1438-1439 ): i Medici si prodigarono affinché ci fosse la riunificazione tra la chiesa latina e quella bizantina,dato che l'imperatore di Bisanzio chiedeva aiuto all'occidente in previsione dell'assedio da parte del sultano turco Maometto il Conquistatore alla citta di Costantinopoli.
In realtà la riunificazione non avvenne, ciò non toglie che l'affresco diede comunque grande lustro alla casata dei Medici: soprattutto la parete est della cappella vede raffigurata tra i partecipanti al corteo di Gasparre, buona parte della famiglia Medici.
Cosimo de'Medici detto il Vecchio



Piero de' Medici detto il Gottoso padre del Magnifico.





Lorenzo de' Medici detto il Magnifico




Giuliano de' Medici che morirà ucciso nella congiura dei Pazzi



Carlo de' Medici( figlio illegittimo di Cosimo divenuto vescovo di Prato)






Sempre nel corteo di Gasparre sono raffigurati oltre a numerosi fiorentini illustri, anche


Sigismondo Pandolfo Malatesta


Galeazzo Maria Sforza






Il mago Baldassarre rappresenta
l'imperatore di Bisanzio,
Giovanni VIII Paleologo.











Infine il Mago Melchiorre è il ritratto dell'imperatore Sigismondo di Lussemburgo.

Alcuni critici ritengono che il Mago Gasparre sia Lorenzo de' Medici dodicenne, posto tra i due imperatori d'occidente e d'oriente, a significare l'auspicio della famiglia di futuri destini imperiali.
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